- Massimo Moscato -

Jacques Damato non è un eroe

È solo uno che ha imparato a non morire

DIETRO LA SCRITTURA

Massimo Moscato

6/2/20252 min read

Jacques Damato
Jacques Damato

Non ama parlare. Non ama obbedire. Non ama farsi notare.
Eppure Jacques Damato è il tipo di uomo che, se si trova nella stessa stanza con te, sai che c’è.

Non per il tono della voce o la gestualità. Ma per lo sguardo. Quello sguardo da cane randagio che ha imparato a riconoscere il pericolo un secondo prima degli altri.

Damato non è un eroe, e chi lo legge con attenzione lo capisce subito.
È un uomo che si porta addosso qualche cicatrice in più, e un bisogno testardo di non lasciarsi fottere dalla vita. Né dalla menzogna. Né dal potere.

Un agente speciale, non una caricatura

Jacques Damato è un effettivo del Reparto Speciale NA 1, un’unità d’élite dei servizi segreti italiani. Non è un agente da copertina. È uno che si sporca le mani. Che sa muoversi tra la diplomazia e il pericolo, tra la storia e la polvere da sparo. Non è l’uomo che salva il mondo: è quello che lo capisce un attimo prima che vada a fuoco.

È orfano da quando aveva diciannove anni. Da allora ha imparato che l’unico modo per restare in piedi è tenere gli occhi aperti — entrambi: uno grigio/verde, l’altro marrone.

Una di quelle stranezze genetiche che non dimentichi se l’hai incontrato una volta sola.

Nessun completo, solo istinto

Jacques non indossa cravatte. Mai. Solo tute, t-shirt, sneakers, piumini leggeri o “cento grammi”, sempre pronto a muoversi, fuggire, inseguire, sparire. Ha stile, sì, ma non quello che cercano gli stilisti. Il suo è uno stile di sopravvivenza.

E al polso? Sempre uno Swatch. Ma mai lo stesso. Li colleziona, li cambia come cambia missione, umore, fuso orario. Non sono semplici orologi: sono una mappa del tempo che si è costruito da solo.

Il senso dell’odore

Un dettaglio dice tutto: Damato non beve. In un genere dove l’alcol è la scorciatoia per rendere i personaggi “duri e tormentati”, lui rifiuta il cliché. Preferisce il caffè. O l’odore delle cose: carta bruciata, metallo vecchio, sudore freddo. È un uomo che fiuta, che percepisce. E che capisce prima degli altri.

Scrivere Damato è come scavare

Non l’ho creato per piacere a tutti. L’ho scritto come si scrive una verità difficile: con rispetto, con ascolto, con attenzione. È un uomo che sbaglia. Che non si fida del primo che passa. Che agisce quando è il momento di agire. Che a volte pensa troppo, a volte troppo poco.

I suoi difetti? Li ha presi tutti da me. Nessuna scusa, nessun filtro. Solo l'idea di costruire un personaggio che vive — prima ancora che “funzioni”. Jacques Damato è quello che resta dopo che tutte le pose si sono sgretolate.
È il tipo che entra in un bunker guardingo e ne esce strisciando, ma vivo. È l’uomo che non si racconta. Ma che ti fa venire voglia di saperne di più. E se alla fine, tra tanti personaggi letterari, qualcuno ti resta addosso… non è perché è perfetto.
Ma perché è sopravvissuto.